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Zona Pastorale Loiano e Monghidoro

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    Home » Curato don Eugenio Andreoli

(da "Il curato di Scascoli" - scritto da "I sacerdoti di Loiano" - 23 Maggio 1988)
Presentazione:
Questo piccolo volume non è, e, non vuole essere un libro.
E' una semplice raccolta di ricordi e di testimonianze su DON EUGENIO ANDREOLI, Curato di Scascoli.
Gli autori sono gli amici stessi del Curato, coloro cioè che ne hanno condiviso l'amicizia, la casa, l'ambiente, l'entusiasmo e le confidenze.E' diretto a tutti coloro che lo hanno conosciuto, e sono tanti, perchè lo ricordino e non disperdano la preziosa eredità lasciata da Don Eugenio.
Ma è sopratutto diretto alle sue comunità di Scascoli, Anconella e Livergnano che Egli curò per lunghi anni con tanto amore, sopratutto "spezzando il Pane della Parola e il Pane dell'Eucarestia".
L'ultima silenziosa omelia Egli la fece al centro di una commossa assemblea di fedeli e di prespiteri il giorno delle sue esequie, volto "versus populum", come compete ai pastori.

E fu sepolto in terra, in un angolo del suo Cimitero, come aveva chiesto nel suo testamento, fra la sua gente e di là continua a predicare sommesso...

Non intendiamo consegnare Don Eugenio alla storia, abbiamo solo voluto cogliere qualche aspetto e qualche ricordo della sua personalità e della sua testimonianza.

Chissà quante altre cose si potevano dire di lui, che era così presente nella vita di ognuno di noi, cos' attento !

Chi l'ha conosciuto, porterà sempre qualche ricordo di DonEugenio nel suo cuore, lungo il cammino della vita...

I Sacerdoti di Loiano
(Scascoli 23 maggio 1988)

Scheda di Don Eugenio Andreoli.

Nato a S. Agata Bolognese il 29.09.1912 - figlio di Antonio e Degli Esposti Celestina.
Battezzato il 27.10.1912 a S. Agata Bolognese.
Entrato in Seminario, fu ordinato Sacerdote il 27.06.1937 dal Card. Nasali Rocca nella Metropolitana di S. Pietro in Bologna.
Nominato Vicario Cooperatore a S. Paolo Maggiore il 28.06.1937.
Nominato Parroco di S. Stefano in Scascoli il 02.10.1942; prese possesso della Parrocchia il 17.10.1942.
Ha avuto anche la cura pastorale delle vacanti Parrocchie di S. Vittore di Anconella
(come Vicario Sostituto dell'Economo Spirituale Don Guerrino Turrini dal 06.02.1955 e poi come Economo Spirituale dal 04.02.1981 alla soppressione canonica della Parrocchia, avvenuta con Decreto in data 24.06.1986);  di S. Ansano di Brento, come Economo Spirituale dal 10.12.1971 al 01.01.1987;
e di San Giovanni Battista di Livergnano dal 10.12.1987 alla sua morte.
Canonico Onorario della Collegiata di S. Giovanni in Persiceto dal 21.01.1964.
Membro del Consiglio Presbiterale dal 1968 al 1970;  della Commissione Diocesana per l'Arte Sacra dal 1969 alla morte;  del Consiglio Amministrativo Diocesano dal 1970 al 1985.
Morto all'Ospedale di Loiano il 23.05.1987

DAL "Testamento Spirituale" di don Eugenio Andreoli.

"Spero di cominciare e di concludere qualcosa
Delle mie indecisioni chiedo perdono a Dio misericordioso e del mio disordine di cose che ho, di cose fatte, da farsi e da ordinare, chiedo perdono ai famigliari, ai confratelli, ai miei parrocchiani.
E in questo momento esprimo la mia volontà desideroso di ordine, di quiete e di fiduciosa speranza di salvare l'anima mia: che il Signore e la Vergine sua madre mi assistano fino all'ultimo.
Sono tranquillo per quanto dato e fatto per la comunità di Scascoli, Anconella e Livergnano, chiedendo perdono a tutti perdonando se qualcuno è stato e mia ha dato motivo di sofferenza, e fatemi la carità di una preghiera, accoglietemi in un angolo, in terra nel cimitero di Scascoli: una croce, un ricordo umilissimo per questo povero pastore"
(Seguono disposizioni testamentarie..)E termina dicendo:
"A tutti quanti mi sono stati vicini buoni amici tutti, generosi sempre, non a parole soltanto ma anche con i fatti - come faccio a nominarli tutti ! - in questi giorni mi avete visto depresso, umiliato dalla considerazione che potevo fare tanti e bene con gioia e soddisfazione di tutti:  pensando alla mia povera vita chiedo perdono e aiuto ai miei confratelli, ai tanti amici, ripetendo " come hanno fatto a sopportarmi, a stimarmi, ad amarmi ?".
Continuate nella vostra carità; Signore sii tu ricompensa a tutti, a me tanta misericordia !.
In manus tuas Domine, commendo spiritum meum "...
Scscoli  8 Agosto 1986

L' addio

A 20 anni

Il Curato di Scascoli Don Eugenio Andreoli, morì sabato 23 Maggio 1987, alle 3 del mattino all'Ospedale Civile di Loiano e la sua salma fu trasferita domenica 24 maggio alle ore 18 dall' Ospedale di Loiano alla Chiesa Parrocchiale di Scascoli, con grande concorso di popolo, e dove si celebrò l'Eucarestia e si vegliò fino ad ora tarda.
I funerali si svolsero lunedì 25 maggio alle ore 11 e furono presieduti da Mons: Vincenzo Zarri, Vescovo ausiliare di Bologna.
Erano presenti sua Eccellenza Mons. Luigi Dardani, Vescovo di Imola, una fitta schiera di sacerdoti convenuti da ogni parte dell'Archidiocesi, in tutto 74 che concelebrarono l'Eucarestia.
All'inizio dell'Eucarestia, nel saluto di accoglienza Don Carlo Gallerani disse
"Ecc Rev.me, carissimi fratelli, parrocchiani ed amici tutti di Don Eugenio, le comunità di Scascoli, Livergnano ed Anconella, con gioia e commozione accolgono oggi la vostra preghiera di suffragio per il loro amico e pastore.
Sono questi i titoli che Don Eugenio sentiva e amava di più fossero a lui riferiti.
Educato alla vita pastorale dalla grande figura di Mons. Schiassi a S. Paolo Maggiore, incominciò in quella Parrocchia il suo ministero sacerdotale amando i ragazzi, dando loro tutto quello che aveva, profondendo in loro il suo amore per il Signore, la sua cultura, la sua squisita umanità, la sua arguzia e la sua amicizia che poi coltivò ed aumentò lungo i suoi anni.
Voi tutti, qui presenti,siete a testimoniarlo.
Mandato a Scascoli nel 1942 dal Card. Nasali Rocca per la sua cagionevole salute, venne qui con l'"animus manendi", e la sua canonica si aprì fin da allora a tutti e a tutte le ore.
I tragici eventi della guerra lo videro sempre presente in mezzo alla sua gente, capace di esporsi e mettere a repentaglio varie volte la sua propria vita, col rischio di non essere capito.
Fù profugo con i suoi parrocchiani a Firenze; cercò di dare un pezzo di pane a tutti, passo tra loro incoraggiando e sostenendo.
Ritornato nella sua parrocchia devastata dalla guerra la ricostruì e la riunì: la ricostruzione di questo edificio ne è il segno elegante, che oltre tutto è anche la prova del suo alto gusto artistico.
Il vertice di tutto è l'altare, costruito per voto, con i bossoli della guerra sul quale per tanti anni offrì il Sacrificio di Cristo per i vivi e per i morti.
Il suo ministero non si limitò alla sua comunità, ma fu di aiuto a tutti i sacerdoti del Vicariato, quando ne avevano bisogno, per essere pronto a ritornare al suo posto quando la sua opera era giudicata non indispensabile, senza mai pretendere un "grazie".
Di tutto si è ricordato.
Ricordava anche con la sua formidabile memoria gli avvenimenti lieti e tristi di tutti.
Quando iniziò l'esodo della montagna divenne "IL PRETE DELLA STRADA", e tutti coloro che lo incontravano, lo aiutavano a svolgere il suo ministero.
Quante onfessioni, quante sollecitazioni, quanti incoraggiamenti su quelle automobili, su quei camions, su quelle corriere che portavano in città.
Dei suoi 45 anni di sacerdozio trascorsi su questi monti, la sua comunità, ricorda il bene fatto con sensibilità delicata e rispetto, la sua grande e squisità umanità, il suo esempio trasparente di apostolo e sacerdote, la sua immensa sensibilità, velata dal suo fare burbero, per fingere di non commuoversi.
Dal Signore Scascoli l'ha ricevuto in dono la prima domenica di Ottobre 1942, oggi al Signore lo presenta come suo grande dono.

Omelia funebre di Mons. Vinzenzo Zarri, Vescovo Ausiliare

Ecc. Rev.ma già compagno di studi del carissimo Don Eugenio e sempre suo amico estimatore;
fratelli nel sacerdozio;
fedeli tutti,
Porto qui la presenza spirituale del nostro Car. Arcivescovo, il quale è associato a noi nella preghiera, nel ricordo e nel tributare ogni senso di affetto e di stima al nostro sacerdote che presentiamo adesso al Signore.
Lo presentiamo al Signore ricordando quello che il Signore stesso ci ha detto in questa liturgia attraverso la Sacra Scrittura" "Siamo del Signore; sia che viviamo sia che moriamo siamo del Signore".
E' una verità importantissima per noi che abbiamo il dono della Fede, una verità sulla quale costruiamo giorno per giorno tutta la nostra esistenza, nella pace, nella sicurezza, nella speranza che non può essere delusa.
E' questa verità che da sendo alla nostra vita. E' questa verità che conforta tutta la nostra esistenza nel momento delle prove. E' questa verità che diventa sempre ammonimento a rivolgerci al Signora superando da una parte i rischi di poterLo rifiutare e dall'altra quelle depressioni che tante volte possono assalire l'animo umano.
"Siamo del Signore", però possiamo ben pensare e riferire questà verità a tutta la vita di don Eugenio, afferrato dal Signore, - possiamo usare una frase ormai comune - afferrato dal Signore fin dai suoi primi anni attraverso la consapevolezza della fede che germinava nel suo animo infantile e ancora di più, afferrato dal Signore nella sua adolescenza quando il Signore, gli fece balenare l'idea del sacerdozio al quale si andò preparando attraverso, anche fatiche non comuni per essere fedele alla sua vocazione e per potere presentarsi davanti al Signore pronto per un ministero di cui egli sapeva già valutare tutta l'ampiezza e insieme tutta l'esigenza.
Una vita intera spesa in una fede intensa. Veramente possiamo dire che Dio è stato al centro della sua vita e ogni riferimento alle sue azioni era rivolto soprattutto e soltanto a questa presenza interiore e ricchissima di cui aveva quasi come una esperienza.
Una vita intera spesa per una fede intensa, una fede che ha alimentato, ravvivato, rasserenato sempre la sua anima nei momenti anche difficili che non sono mancati, come già ha ricordato il nostro carissimo don Carlo.
Per cui Eugenio, veramente di si è sentito nel mondo, ma non del mondo.
Nel mondo, sì, perchè ha saputo comprendere tutte le persone che si avvicinavano a lui e la vostra numerosa presenza qui in questa chiesa ed anche il numero stragrande di fedeli che sono accorsi ieri alla preghiera che si è fatta per lui (in questa chiesa), sta a dire come universalmente era conosciuta la sua capacità di comprendere, di confortare, di dialogare da uomo a uomo, ma da prete che non nascondeva certamente i suoi sentimenti profondi di fede e di riferimento al Signore.
Nel mondo, dunque, ma non del mondo.
Sta a testimoniare questo la sua integrità di vita sacerdotale, integrità sotto gli occhi di tutti e per la quale certamente nessun'ombra, nessun velo poteva oscurarne la luce così intensa che da lui emanava.
Nel mondo ma non del mondo, perchè don Eugenio non si apparteneva. Come è stato ricordato, anche la sua casa, non era la sua casa soltanti in senso privalistico, era la casa di tutti; egli amava che la sua casa fosse sempre piena di tutte le persone che accorrevano a lui.
Lo vogliono ricordare in questo senso, tanti sacerdoti che proprio qui, in questa casa non soltanto hanno ritrovato l'amico, vorrei dire, il padre, il fratello hanno trovato anche l'aiuto per poter perseverare nel loro cammino.
Vorrei ricordare anche la presenza di tanti seminaristi che nell'estate confluivano qui da don Eugenio perchè era conosciut,, non soltanto la sua capacità di ospitare, ma la sua capacità di entrare nell'animo delle persone e di accogliere nel suo animo tutte quante le persone.
Non si apparteneva, era di Dio e della Chiesa.
Ha sempre sentito in maniera fortissima questà verità. Un sacerdote non si appartiene, nè appartiene soltanto alle persone che con lui hanno vincoli umani. Il sacerdote è di tutti, è della Chiesa, e questo allora, vuol dire che Don Eugenio si sentiva della sua gente, si sentiva debitore verso tutti quelli che il Signore gli aveva affidato il un ministero, che apparentemente poteva sembrare umile, ma il ministero sacerdotale è sempre gande e inenarrabile.
E' grande il ministero sacerdotale non commisurato alle dimensioni geografiche o ad altre situazioni sociali; è grande il ministero sacerdotale in proporzione della fede e della carità di un sacerdote. Per questo il ministero di Don Eugenio è stato grande, perchè grande è stata la sua fede e grande la sua carità.
Un sacerdote che con i suoi sentimenti con il suo comportamento ispirava senz'altro fiducia, una fiducia che si notava perchè i suoi modi di fare, anche se apparentemente potevano sembrare semplici, popolari, disadorni, erano modi che rivelavano un'interiore distinzione, non soltanto la distinzione della signorilità e della cultura, ma la distinzione dell'amico di Dio, di colui che si è modellato sul cuore del Salvatore e che è diventato il "Buon Pastore".
Portava tutti nel cuore ed era, si può dire, nel cuore di tutti.
E' questo il miglior segreto per l'Evangelizzazione, per poter far passare la Parola di Dio laddove è tanto difficile che possa trovare uno spiraglio di luce e di accoglienza.
Eccoci. Don Eugenio era del Signore. E' del Signore !.
Se lo ha potuto dire in vita, "Siamo del Signore" adesso egli lo ripete meglio, egli ce lo può testimoniare con tutto se stesso: è del Signore, è nel Signore; e noi siamo certi che nessun'ombra lo potrà mai staccare da Dio.
Noi preghiamo per il suffragio della sua anima, perchè il Signore lo liberi dalle imperfezioni che sono umanamente sempre attaccate alla nostra esistenza ma noi siamo sicuri che egli è nella pace del Signore.
"Siamo del Signore". Lo vogliamo ricordare anche per noi. E' un monito questo, che deve riempire tutta la nostra esistenza, vorrei dire che potrebbe essere come il testamento spirituale di Don Eugenio: "Siamo del Signore", tutti quanti siamo del Signore.
E il Signore ce lo dice, questo, con tanta forza; ce lo dice proprio adesso, mentre celebriamo l'Eucarestia.
Che cosa vuol dire celebrare l'Eucarestia ? Se non proprzio sentire che siamo con il Signore gesù, siamo suoi e vogliamo celebrare questo mistero.
Quante volte, quante migliaia di volte, l'ha celebrato questo mistero dell'Eucarestia, Don Eugenio in mezzo a noi, per noi, per voi !
Vogliamo allora ricordare proprio come l'Eucarestia fosse il Sole della sua vita, un Sole che egli faceva esaltare, faceva risplendere, attraverso la sua preghiera così spontanea, così intensa, così continua; un Sole che egli ha voluto far risplendere attraverso anche tutti gli atrumenti umani che possono conferire decoro e solennità all'Eucarestia.
E stata ricordata tutta l'opera che Don Eugenio ha svolto per abbellire la chiesa. Ma vorrei dire che tutta questa opera era legata soprattutto al mistero Eucaristico.
Egli sentiva il mistero Eucaristico !
Lo sapeva talmente da non potersi sottrarre ad ogni emanazione che investe la vita degli uomini partendo dal tabernacolo e partendo dall'altare.
Per questo anche, possiamo ricordare che l'amore all'Eucarestia per lui diventava amore alla Chiesa; amore cioè a quel popolo che vive dell'Eucarestia, che è legato all'Eucarestia, che si nutre dell'Eucarestia !.
Perciò l'attaccamento alle sue comunità.
Il senso di responsabilità che ha avuto per tutti e per ciascuno, anche per quelle realtà che a prima vista potevano sembrare meno appariscenti e meno attraenti.
Vorrei allora ricordare, sempre attaccandomi a questo nome all'Eucarestia, l'amore al Sacerdozio.
Don Eugenio ha sempre sentito con molta goioia, oltre che molta responsabilità, il suo Sacerdozio.
L'ha sentito sempre con grande gratitudine al Signore che non mancava di manifestare in tante occasioni.
L'ha sentito l'amore al Sacerdozio in quell'appoggio in quell'aiuto che egli ha voluto sempre dare ai confratelli . anche questo è stato ricordato .
Ma permettetemi di presentare un'aspetto della vita di Don Eugenio che io lego certamente all'Eucarestia, che vedo diffusa nel Sacerdozio, e che mi sembra, comue si sul dire adesso, un'aspetto profetico.
Gli ultimi mesi di vita, gli ultimi tempi di vita che egli ha trascorso ha voluto, ha desiderato trascorrerli in una comunione fraterna con altri sacerdoti
.
Sono grato a Don Carlo che ha compreso quest'aspirazione di Don Eugenio e ha fatto il possibile per esaudirla come poi è stata attuata.
Non si trattava soltanto di ospitalità.
Egli diceva "Mi trovo bene anche alla casa del Clero", dove aveva passato qualche tempo. Ma pure gli mancava qualche cosa: gli mancava quella comunione nella vita quotidiana, quella comunione che mette vicini gli uni agli altri condividendo gioie, speranze, ansie e dolori: la comunione fra i sacerdoti.
E' stato un'esempio che ci ha dato io vorrei che fosse meditato, che fosse intensamente presentato all'attenzione di ciascuno e che fosse presentato anche davanti al Signore in preghieraò
Che non diventi anche questo per noi un annuncio !
Che non sia per tutti come una testimonianza di strade nuove, di strade aggiornate adatte al momento presente, attraverso cui meglio si garantisce nel Sacerdozio, la centralità dell'Eucarestia e la centralità del Servizio Pastorale ?.
Caro Don Eugenio, tu che sei davanti al Signore, presenta a Lui questa preghiera, perchè ci dia luce, ci dia conforto, perchè ci attragga di più all'Eucarestia che è stata veramente per te cibo, speranza, luce, alimento; che ci faccia sempre meglio vivere la messa, la messa della liturgia, la grande messa della vita, in attesa della liturgia eterna alla quale tu partecipi.

Don Eugenio Andreoli un vero amico

A Don Eugenio mia ha legato una profonda amicizia sin dall'indimenticabile esperienza comune del seminario.
Mite per temperamento, sordastro per i postumi di una otite lunga e dolorosa, piuttosto fragile di costituzione, reagiva con disinvolta ilarità ai nostri servizi e alle nostre insofferenze quando un pà impacciato dal nel gioco, non assecondava la nostra foga. Attento e acuto osservatore di persone e di cose, rimaneva imperturbabile.
Col passare degli anni manifestò un notevole gusto letterario, una fine e spassosa vena poetica per le "zirudelle", una attitudine singolare per il disegno e per l'arte, e una vera passione per la biblioteca e per il canto.
A scuola non brillava tra le intelligenze spumeggianti, ma teneva sempre assai bene ik passo con la classe, allargando i suoi studi a un vasto campo di interessi culturalim fino a conseguire una invidiabile maturità di pensiero e di vita.
La sua saggezza non er per nulla saccente o pretenziosa; era un felice impasto di ricca e sensibile umanità, di intelligente buon senso, di chiara consapevolezza non sprovveduta di ironia e di spassose prese in giro.
Simpatico ed esilarante risultava sempre per la brigata il suo repertorio delle carattersitiche battute dialettali del vecchio arciprete di S. Agata, e delle papere colte al volo a scuola di teologia. Ne zampillavano buffi schicci caricaturali e gustose imitazioni con mimiche e cadenze azzeccatissime.
Era buono !.
Non imbalsamato, ma vivo e concreto. Fedelissimo all'amicizia e alla solidarietà, era felice quando poteva rendersi utile. Debbo a lui la mia scoperta della Catena aurea di S. Tommaso a commento dei Vangeli, e la prima appassionata lettura dei testi patrisitici della poderosa opera del Bellino.
Fu lui a suscitare in me l'interesse per la storia locale e per l'arte stupenda delle nostre chiese bolognesi.
Mi fu compagno in Congregazione Mariana e nella scuola spirituale dell'indimenticabile Mons. Sarti; e anche in questo mi fù esemplare. Debbo considerare questa amicizia, sempre discreta e disponibile, come un vero dono di Dio.

Poi fummo sacerdoti; lui nel giugno 1937; io nel successivo settembre perchè, lattonzolo della classe, non avevo l'età. Così potè partecipare alla mia prima messa a Ganzanigo. Fù gioia grande.
E prendemmo il volo per il ministero. Io fui rimesso in incubatrice in Seminario; lui andà cappellano a S. Paolo, sotto la guida pastorale di quel saggio ed esempleare parroco di città che fù Mons. Schiassi.
Questa esperienza maturò in lui rapidamente lo stile pastorale, che mantenne per tutta la vita.
I miei rapporti con Lui, anche se costanti, furono da allora meno frequenti; ma anch'io, in Seminario, mi arricchivo della sua esperienza pastorale. Qualcuno di quelli che furono allora i suoi ragazzi, avrà certamente qualche bel ricordo da offrirci.
Dal servizio di quella grande parrocchia cittadina passò al campo definitivo del suo apostolato nella parrocchia montana di Scascoli.
Nativo di pianura, come me, non faticò tuttavia ad adattarsi alla vita montanara, coi suoi ritmi familiari e di lavoro, le sue feste, le lunghe marce a piedi, gli isolamenti invernali.
Si affiatò presto con l'ambiente parrocchiale di campagna e con le abitudini e gusti dei suoi buoni montanari, che avvertirono subito il sapore spirituale e culturale del giovane parroco; lo stimarono e gli vollero bene.

Anche nelle altre parrocchie della zona il suo servizio sempre disponibile divenne abituale.
Questo lungo e fedelissimo ministero pastorale merita ammirata memoria e imitazione.
Nel novembre 1943, dal seminario anch'io passai a una parrocchietta di montagna: Castelnuovo di Bisano. Mi separava da Scascoli solo il territorio della parrocchia di Barbarolo. Dopo le peripezie di un trasloco piuttosto fortunoso in quel tempo di guerra, una delle prime visite fu quella di Don Eugenio; e tanti fili si riallacciarono più stretti che mai.
Si interessò a tutti gli aspetti della mia sistemazione; mi fù largo di suggerimenti frutto delle sue esperienze; pregammo insieme, e prima di ripartire mi promise che mi avrebbe spedito un scrofetta da ingrassare per le necessità della famiglia, finita lassù con poche scorte per il vigente tesseramento alimentare; un pò di pollaio avrebbe fatto il resto.
Ci rivedemmo nei mesi successivi ed era sempre una festa come tra fratelli. Poi arrivò l'uragano della guerra che interruppe i contatti, ma ci accumunò nei rischi e nelle sofferenze della Resistenza e del fronte, arrestatosi, per lunghi mesi, proprio nelle nostre parrocchie.
Dopo tanti disagi a lui toccò unìesperienza più tragica ancora : nel momento stesso dell'arrivo delle prime pattuglie americane a Scascoli, un suo fratello cadde ucciso per errore sulle scale di casa.
La sua fede e la sua fortezza d'animo si rivelarono allora in modo eccezzionale attraverso un'impegno ancora più intenso ed assiduo nel sollevare gli altri dall'immensa pena dei lutti e delle distruzioni della guerra.
Non si perdette d'animo, ma puntò decisamente tutte le sue energie verso la ricostruzione.
A cominciare dalla sua chiesa, che sognò e volle bella e ben arredata: la facciata rivestita dall'antica arenaria di Brento; l'organo; l'altare con quella meravigliosa scaffa da lui stesso disegnata con fine gusto classico, e fatta fondere a Firenze col recupero dei bossoli d'ottone delle artiglierie americane.
Seguirono anni tristi per la fuga delle famiglie dalla montagna, per le difficoltà enormi della ricostruzione morale e materiale e per il dilagare di ideologie politiche dissacranti.
Anche nelle file dei sacerdoti s'erano creati vuoti paurosi.
Don Eugenio restò, prodigandosi nella cura pastorale delle parrocchie limitrofe, anche quando la salute cominciò a creargli seri problemi.
Per il mio ritorno in città gli incontri si fecero più rari ma non meno intensi, sempre carichi di quell'umore tonificante che, tra i ricordi e lo scherzo, ricaricavano lo spirito.
Per la mia consacrazione Episcopale lo desiderai padrino insieme a Mons. Zardoni: accanto al mio sbalordimento lui, lucido e felice, mi accompagnò anche quella volta all'altare; inserendosi ancora più profondamente nella mia vita.
Durante le mie degenze in casa di cura non mancò mai di venirmi a visitare, prlungando la sua amichevole solidarietà con qualche telefonata sempre discreta e carica di affetto.
A pochi mesi dalle Nozze d'oro sacerdotali della nostra "classe di ferro", traguardo desiderato per un felice incontro tra tutti i superstiti della lunga marcia, Don Eugenio si ammalò e in pochi giorni fu pronto per il premio.
Mi ha preceduto, e ancora da buon amico mi aspetta !

15 Marzo 1988 - Luigi Dardani - Vescovo di Imola.

Don Eugenio: un prete convinto,
un maestro, una guida

Tutta la mia vita di Seminarista e di Sacerdote è stata illuminata e "protetta" da Don Eugenio, che Suor Teresa chiamava "il mio grandone" e che tutti del "Gruppo" consideravamo il "Capo" in assoluto.
Era particolare, geniale, per tanti aspetti al di fuori di certi schemi tradizionali e consolidati, ma si imponeva per la sua intelligenza, la sua raffinatezza, il buon gusto artistico, le intuizioni geniali, la cultura universale.
Aveva l'anima e l'espressione dell'artista, e di ogni cosa sapeva cogliere l'aspetto recondito ed originale.
Era un prete convinto, un maestro di spirito illuminato, una guida preziosa e sicura, anche se non lo dava subito a vedere, e, anzi, a volte, assumeva atteggiamenti che lo potevano far apparire diverso.
Bisognava conoscerlo, penetrando nell'intimità più gelosa, dopo aver superato la barriera di una certa timidezza e di una naturale difesa.
Aveva un cuore grande, disponibile, aperto ad accogliere tutti; come a tutti fu aperta la porta di quella casa di Scascoli che fu per oltre 40 anni la meta, il rifugio di una folla di amici.

Per me Don Eugenio, è stato amico, padre, fratello, stimolo, esempio concreto di un sacerdozio convinto e vissuto.
Mi accompagnò a S. Agata e mi fù "padrino" nel giorno della Prima Messa, e, da allora, non ci siamo lasciati mai.
La morte ha interrotto un dialogo, ma non il filo di quell'amicizia profonda che nè il tempo, nè le cose potranno mai distruggere.

Mons. Novello Pederzini
Santagatese, Parroco ai Ss. Francesco Saverio e Mamolo in Bologna.

L'amico prete

Avevo un vecchio motociclettone, residuato bellico.
Il nostro primo viaggio: da Barbarolo a Scascoli.
L'avevo appena conosciuto, ed al vederlo riebbi vive le impressioni di quando lo avevo visto in città: alto, allampanato con due occhiali troppo grandi per la sua faccia sottile.
Per la sua statura e per i suoi lunghi passi, i ragazzi di S. paolo maggiore lo chiamavano "don chilometro".
"Se vuoi ti accompagno...ma c'è questo sedile, sottile, scomodo."
"Fa lo stesso".
Da allora i viaggi furono innumerevoli. I viaggia in moto furono solo locali.
A Roma, Napoli, Milano, Fano, Loreto, Pompei, Salerno, Cava dei Tirreni, Benevento, e quanti altri mai; a questo prete, che mi diventava sempre più amico, non riuscivo a dire di no.
Sapeva cercare, mantenere, rafforzare e dare l'amicizia.

Gli chiesi che cosa mai si dicesse di quei luoghi e, a volte, interminabili viaggi.
Facemmo un viaggio lungo mezz'Italia, cantammo per tutti quei chilometri e dicemmo qualche preghiera.
Era la gioia di essere quello che si era. Ringraziamento.

L'amico compositore p. Albino Varotti, francescano, ci invitò ad Assisi per assistere ad un suo concerto. Ad Umbertide si volle fermare per vedere un gran chiesone che ci trovammo lungo la strada; erano ormai passate le ore canoniche, e avevo una fame da morire; lui, la fame, se l'era dimenticata.
A metà del pomeriggio mangiammo un piatto di spaghetti scotti a perugia. Giurai di non andar più con lui.
Voleva vedere, conoscere, riempirsi di cose belle.
Al Sacro Convento di Assisi ci ospitarono: era un mercoledì di Quaresima. Che cena in quell'immenso refettorio lungo lungo, su tavole senza tovaglie, la luce fioca e il fratino che da un pulpito alto, alto, leggeva, leggeva.
Lui fu tutto contento perchè lo fecero dormire nel letto di Pio IX.

Non so quanti furono i viaggi, durante i quali ,i ascoltà soltanto.
Sena dire nulla
La capacità di ascolto, è il segno della disponibilità e della carità di un uomo. Se ti ascolta ti vuole bene.

"Vieni con me a Fano dai frati !"
"dai frati ?"
"Si dai frati del porto, al mare. Ti farà bene !"
Si partiva alla domenica sera e si ritornava al sabato pomeriggio
"Il parroco deve sempre essere a casa alla domenica, perchè è alla domenica che si fa la parrocchia".
Sapevano sempre dov'era. Anche se sulla porta della casa c'era il solito cartello "Torno subito".
C'era un bel aspettare. Chi lo voleva però lo trovava, magari dopo tre giorni.
L'ho portato a casa anche a metà settimana: c'era un moribondo da assistere od un funerale.
"Il parroco ci deve sempre essere !.
Per farmi un favore, mi accompagnò a Roma in giornata a Mons. Giovanni Fallani: si trattava di cose importanti. Me lo fece conoscere e potei godere poi, dell'amicizia di un così grande vescovo.

Fu chiamato "prete della strada".
Il primo che lo vedeva, in attesa, lo faceva salire in macchina o sul camion pieno di legna, ma per sua sorte, spesso si buscava una predica o una confessione.
I ragazzi della corriera, dopo la scuola, spesso si dovettero sorbire i suoi pensieri, magari fatti anche da una sola esclamazione: ma pensieri.
L'ho amato e lo amo, perchè fu un amico vero. Da lui ho appreso come si faccia il prete ed il parroco.
Per insegnarmi (e non me lo disse mai), mi fece fare tanti discorsi e tante prediche, che credo stancarono certamente i suoi parrocchiani.
Ad Anconella ed a Scascoli ci fu un corso di Missioni.
La prima sera, ad Anconella, si incominciò con in "catechismi" a dialogo.
Il confratello collaboratore venne solo il giorno dopo.
Lui, mi fece salire sul pulpito: dovevo fare il maestro. Rimase in mezzo al popolo, laggiù, a fare il discepolo ignorante.
Non ricordo l'argomento. Ricordo solo che, ad ogni domanda che mi faceva da "ignorante che sapeva", non rispondevo mai a tono: ero perso, intimidito...finì lui, e nessuno si accorse del mio imbarazzo.
Dopo ? Una risata, di quelle sonore. Poi mi fece una grande confodenza delle cose del suo ministero.

Altre cose ? E' una vita, amici miei; e come si fà.?
Gli voglio ancora bene, anche se le mie gambe non me lo permettono di fare le scale del cimitero di Scascoli.
Sono prete e posso dire messa.
Quello che Lui mi regalò, cerco di ridarglielo.

Don Felice Contavalli
Parroco di Monte Donato in Bologna.

Pastore e gregge nella bufera.

La via che da Sasso Marconi può condurre a Scascoli, se percorsa a piedi attraverso Monte Adone e le gole del Savena, non è proprio la via dell'orto.
Per quella via un giorno, mettiamo nel luglio del 1969, mi presentai a Don Eugenio; quando mi vide sbucare dal bosco che sale dal torrente e immette di fronte alla canonica di Scascoli, egli mi accolse con un amabile complimento: "Ecco il solito pazzo !".
Nell'ospitale casa di Don Eugenio, sempre aperta ai seminaristi e sacerdoti, trascorreva giorni di serena vacanza padre Gianni Poggeschi.
Per lui ero andato fin là; mi interessava vedere l'artista al lavoro. Ma Don Andreoli non riusciva a spiegarsi come potesse il suo amico ospite trascorrere intere giornate a ritrarre su grandi fogli da disegno, con francescano candore ( padre Poggeschi non era francescano, bensì gesuita, ma doveva trattarsi di un furto compiuto all'inizio della sua vocazione da parte del bellicoso Ignazio ai danni del serafico Francesco), soggetti come galline, gatti, lucertole, passerotti, farfalle, rospi, un bestiario di modesta ispirazione artistica, tutto sommato, e che vi potesse aggiungere, a commento, anche qualche espressione di evangelica poesia, come, sotto un gatto nero:
"Passerò per matto,
o Signore,
se ti cerco
come nascosto
nel piccolo
comune mistero
di un gatto nero ?";
oppure, accanto a galline e galli:
"Tieni a noi, Signore,
le Tue Mani Sante
sulla testa.
Lo sai
che il gallo,
appena sente
odor di piedistallo
alza la cresta !."
o anche, vicino a qualche formica laboriosa nella calura estiva:
"Formichette rosse e nere,
non pensate mai a bere"

Padre Poggeschi cantava con innocente semplicità la pace dei campi, e Don Eugenio giardava stupito.
Ma non era semprestato così a Scascoli.
Verso la fine dell'estate del 1944 anche la parrocchia di Don Eugenio era stata investita da movimenti partigiani, e poi dalla ritirata tedesca e dall'avanzata degli alleati, rimanendo coinvolta nella bufera della guerra. E poi la lunga sosta degli americani sulla riva destra del Savena per tutto l'autunno e l'inverno, e la presenza dei tedeschi sull'altra sponda del torrente, lungo il pendio di Monterumici, a un tiro di schioppo.
Coi tedeschi appostati lì, davanti al naso, don Eugenio non riuscì nemmeno a gustare l'avvento della liberazione, perchè con l'arrivo degli americani la guerra s Scascoli, anzichè concedere respiro, assunse toni di drammatica ed estenuante durezza.
Furono mesi di intensa sofferenza per lui; prima una serie di spiacevoli incontri con i partgiani, poi l'occupazione tedesca, poi la prima linea del fornte alleato trasformarono le quiete contrade di Scascoli in una terra di fuoco dove la forte tempra del parroco e dei montanari di Scascoli subì una logorante prova.
Fu in quei giorni trsitissimi di un malinconico autunno che alcuni civili residenti o sfollati a Monterumici compirono un drammatico trasferimento dalla terra occupata dai tedeschi, attraverso a guado il Savena in piena, per raggiungere sotto l'incrociarsi delle raffiche delle opposye linee, le spinde di Scascoli.
Fra questi, il 17 ottobre 1944, il parroco di Monterumici, don Alberto Zanarini; don Eugenio lo accolse in casa con un commosso abbraccio e gli offrì la gioia di ricelebrare ka messa dopo alcuni giorni di inferno.
Più tardi, verso il 13 - 13 di novembre, affrontando la stessa avventura l'arciprete di Vado, don Eolo Cattani, e una trentina di persone che avevano trascorso oltre un anno ammassati dentro un rifugio fra i boschi sotto Monterumici, nutrendosi di castagne e dormendo accovacciati uno sull'altro per terra.
Giunsero a Scascoli in condizioni pietose, intrisi d'acqua, sconvolti, in fila indiana come un corteo di ombre, e vennero accolti in un rifugio, dove furono rifocillati dai soldati americani..
Uno di essi voleva stare allegro e chiese un canto. Don Eolo avrebbe ben ripetere il salmo degli ebrei deportati in Babilonia: "Come cantare i canti del Signore in terra straniera ?".
Ma il soldato rinnovò gridando la sua richiesta. Allora don Eolo si mise a cantare con voce spenta:
"Pietà, Signor, del nostro patrio suolo,
noi ti preghiam al piè del tuo santo altar:
la patria nostra a te si volge in duolo,
a te sua prece ascenda il sospirar !".

Poche altre parole avrebbero potuto esprimere meglio lo stato di quella povera gente; per essa iniziò subito un grande esodo verso sud, verso Firenze e Siena. Anche don Cattani e il suo canonico Battista Allegranti furono deportati là, come le famiglie di Scascoli e di Livergnano, strette a lungo nella morsa della guerra.
Don Andreoli segu' il suo gregge sbandato e disperso, riuscnedo a fermarsi nelle retrovie, fra Loiano e Monghisoro; così don Zanarini.

Don Eugenio, pur tanto loquace, non parlò mai di quei giorni tristissimi, nemmeno con chi lo sollecitava in proposito; non volle più rievocare quei ricordi, forse illudendosi di poterli dimenticare.
Canonico Dario Zanini
Parroco di Sasso Marconi.

La casa di Betania

Mentre la semplice bara di don Eugenio calava nella fossa sassosa del piccolo cimitero di Scascoli, eruppe improvviso dal cuore e dalla voce dei numerosi sacerdoti presenti il canto del Credo, con le note del Gregoriano, che don Eugenio tanto amava e tanto aveva cantato con la sua voce tenorile.
Era una toccante manifestazione di fede e di speranza in un momento in cui la maggior parte di noi sentiva di rimanere un pò orfani e di aver perso un punto di riferimento. Sentivamo che ci era stato tolto un Padre e un Amico. La caratteristica principale di don Eugenio era la sua capacità di accoglienza, la sua parola franca e rassicurante, il suo buon umore che sdrammatizzava le situazioni.
La sua casa era diventata un cenacolo di accoglienza e di fraternità per Sacerdoti, Seminaristi e laici, una casa in cui, come faceva Gesù a Betania, passare qualche ora lieta di conversazione e da cui si usciva rinfrancati e rassicurati.
Per don Eugenio anche il suo continuo muoversi da una parrocchia all'altra era occasione di apostolato fatto come "una battuta", una parola, un ricorso, un consiglio.
E la gente si sentiva onorata di trasportare don Eugenio (sprovvisto di patente automobilistica) e ne riceveva serenità e fiducia.
Ma dove traeva don Eugenio questa forza interiore per donare senza mai chiedere nulla per se ?
Certamente don Eugenio era stato dotato dalla natura di un alto grado di umanità, di humor, di intelligenza, ma tutto questo era anche frutto di grazia e di virtù acquisita.
La sua natura, nonostante l'apparenza, sensibile e delicata, òe sofferenze (incredibili quelle durante la 2° Guerra Mondiale !) e la sua salute delicata l'avevano affinato e purificato ed Egli aveva raggiunto un notevole grado di equilibrio e di esperienza di vita.
Si spiega così la sua capacità di colloquiare con i giovani, che incontrava e che accorrevano a Scascoli, "dal Curato".
La sua casa era povera, ma accogliente e dignitosa. Il suo gusto artistico che si era fatto competente per le cose belle del passato, raccoglieva nei suoi giri pezzi di autentico antiquariato, ma raramente si fermavano presso di lui, perchè diventavano dono per agli amici, mezzo per mantenere una relazione. "Tanto, diceva, quando sarò morto chissà dove andranno a finire !".
La sua chiesa invece no, quella si la teneva bella, pulita, ben arredata, armonica, proporzionata !
L'aveva costruita lui, dopo la guerra, in chiare linee romaniche e i bei sassi era andato a ricuperarli fino al convento distrutto di Brento, al di là del Savena, tanto che su uno di questi nella finacata laterale si legge ancora: " ex cathedra Episc. Brenti",
E quando il Vescovo Giovanni Fallani, Presidente della Pontificia Commissione per l'Arte Sacra, giunse da Roma a trovare il suo amico curato di Scascoli, esclamò: "ma questo è un Eremo, non una Parrocchia", e si meraviglià che un uomo tanto ilare, aperto, umano avesse vissuto tutta la sua vita di Sacerdote in questa landa dell'Appennino.

E' così che mi rimarrà nel cuore don Eugenio, sereno, attento alle persone, disponibile, uomo di profonda umanità e di profonda grazia e farà parte per sempre di me, di quelle persone che mi hanno educato e consegnato uno stile di vita e un patrimonio di virtù umane e cristiane.

Don Lino Stefanini
Parroco di Scanello
Vicario Pastorale di Setta.

Il sacrificio di un prete

Grazie per averci dato l'occasione di scrivere queste poche righe a ricordo di Don Eugenio.
Avevamo il debito di ringraziarlo per il bene che ci ha fatto e che ci farà, perchè siamo certe di avere in Lui, un amico sacerdote, un padre ed un potente intercessore.
Non ci è facile parlare di Lui, per quel molto che seppe nascondere per umile semplicità.
La sua vita interiore la si intuiva dal suo comportamento esteriore, del suo modo di parlare, non di sè, ma di Dio.
Rimarrà nel cuore delle Suore che l'hanno avuto per tanti anni direttore spirituale. Umile, riservato, sincero, con forte capacità intuitiva, faceto,, comunicò sempre a noi tutte un grande amore alla vocazione religiosa e quanto era necessario per nutrire, incoraggiare, fortificare la nostra fede.
Il suo grande ideale era amare Dio, e il prossimo e a questo Lui mirava in tutto e per tutto.
Come si vive...così si muore.
Il suo letto divenuto altare, diventò scuola per tutti quanti noi. Da anni veniva ricoverato,e... nei momenti di sollievo e di discreto benessere, si immedesimava nella Liturgia e la rendeva solenne.
Avvertì, nel suo ultimo ricovero, la fine e, con calma e serenità ci disse :" Questo è l'ultimo mio viaggio. E' giunta la mia ora, Signore sono pronto",
Soffriva, offriva, pregava. Queste le sue prerogative in sintonia di amore e di slancio come l'aveva fatto il siorno della sua consacrazione.
Traggo dai suoi scritti:
"Gesù, Sommo ed Eterno Sacerdote, Ostia pura, Santa Immacolata, io mi unisco a Te per essere sempre sacrificato con Te vittima del Tuo stesso Sacrificio. Ogni istante della mia giornata sia concelebrazione della Tua Messa su ogni Altare della terra. Ovunque tu t'immoli, sia io pure Immolato, secondo la Tua intenzione coi Tuoi stessi sentimenti e desideri onde sia generosa e totale la mia partecipazione alla consumazione con Te e la mia unione sia quella da Te supplicata dal Padre Nostro celeste - Maria SS.ma, mamma di Gesù sacerdote e mia, istruiscimi e sostienimi nella mia immolazione con Gesù."
Ai noi incerti e vacillanti nella nostra fede, inquinati dal male, dal materialismo, malati di efficentismo, vicino a Lui respiravamo una boccata d'aria religiosa che ci faceva pensare, sperare, credere in Dio.
Dal Magnificat... al Nunc Dimittis...queste le preghiere che diceva con slancio, anche nei momenti più difficili.
La sua vita fù, dunque, tutta una offerta; nulla tenne per sè. Morì consumato e cosciente del momento solenne che stava vivendo.
Ringraziò gli Infermieri, Suor Maria Assunta, Paolo, Bruno e i Medici per quanto avevano fatto e raccomandò loro di assistere e curare gli ammalati come Lui stesso era stato curato con amore...e si accomiatò da noi salutando e benedicendo tutti.
La sua morte, inattesa per noi, ma non per Lui, ha colpito tutti e co ha insegnato molto.
I sui beneficati hanno intessuto il migliore elogio con una imponente manifestazione di lutto, che significava ammirazione, affetto, riconoscenza, proprio come se avessero perso un padre, un amico, un fratello, che nella fatica quotidiana, e nella povertà ha insegnato a vivere nella fede e nell'amore con Dio.
Le suore dell'ospedale di Loiano

 

Mondo piccolo

L'ho conosciuto quando facevo il chierichetto per Don Sisto a 2 lire la Messa. Erano le lirine verdi che il vecchio parroco sovente confondeva con i biglietti del tram usati, conservati nel portafoglio nella speranza che tornassero buoni.
Poi Don Sisto si ammalò e si cominciò a vedere in giro per la canonica un prete pieno di vigore giovanile che non avevo mai visto.
Il primo ricordo nitido è quello di Don Eugenio con i polsini bianchi rimboccati sulle maniche, mentre faceva un gran falò sul sagrato dell'Anconella bruciando libri mangiati dai topi, vecchie pianete e vecchie corone di fiori di stoffa impolverati. E, mentre io continuavo ad alimentare il fuoco con tutte le scartoffie dello studio, Don Sisto gridava dal suo letto: "Im brusn'incossa !" e Don Eugenio rideva di gusto.
Don Sisto stava morendo , e con lui tutta un'epoca che se ne andava.
In seguito Don Sisto sarebbe divenuto per anni il nostro argomento di conversazione. Vedendoci raramente a Scascoli, era inevitabile che si parlasse dei ricordi dell'Anconella e soprattutto del mio "sabbione" che non c'era più.
Don Eugenio aveva un senso dell'humor spiccatissimo e di tutti i piccoli episodi riusciva a colgiere al balzo le sfumature riproponendoli, in seguito, con gusto alla recitazione, arricchiti sempre puù fino a rendere confuso il limite trà realtà e fantasia.
Questi episodi venivano raccontati soprattutto in casa nostra e dai Gamberini, con i quali arrivò anche a scrivere delle bellissime "zirudelle" su certi personaggi dell'Anconella. Alcune poi venivano recitate nel teatrino della parrocchia, come quella dell'allegro cavalier che doveva arrivare "al dit dal dieval", mentre altre zirudelle, invece, restavano limitate agli amici, come quella su Ristidetto che "...passava le ore invano con la corona in mano".
Ma Don Sisto era sempre il tema centrale, specie quando si incontrava con Don Felice, che veniva su da Bologna su una vecchia motocicletta, con la tonaca arrotolata in vita dentro a una tuta che sembrava la pubblicità della Michelin. Oppure col prete di Pianoro che era soprannominato "Mussadek" e che arrivava su una Balilla nera che portava sul davanti la scritta "Lucia va e torna a casa".
Venivano tutti quando c'erano degli anniversari di defunti e si recitavano molte Messe insieme su tutti gli altari, e noi chierichetti facevamo a gara per scegliere le sottane nere migliori e le cotte meno indurite dalle sbrodolature ci cera.
Poichè ho vissuto con Don Eugenio solo alcuni anni della mia infanzia, per poi restarvi affezzionatissimo da lontano, non arrivo a ricordarmi una sua predica. Mi ricordo invece l'amore per la Liturgia e la carica che riusciva a trasmettere a tutta la comunità, specie ai giovani.
Non solo organizzò una specie di "Schola Cantorum" che si cimentava egregiamente nella Messa degli Angeli, ma con lui si cominciarono a vedere delle belle Funzioni della Settimana santa che ci impegnavano moltissimo. Con lui portammo la Madonna del Calanco in una bellissima processione notturna lungo le strade dell'Anconella, dal campo sportivo a Cà Innocenti e poi fino al pilastrino del Calanco, e per un certo periodo fummo coinvolti nelle Rogazioni.
Prima della Messa si andava in processione fino al campo sportivo e la cosa serviva anche aeaccattare un pò di uomini lungo la strada per indurli ad andare in Chiesa. Lui li guardava tutti e non si lasciava scappare una pecora. Certe cose le diceva in faccia e non le mandava certo a dire.
Ricordo una volta che, col suo fare da Don Camillo, disse ad uno che portava con disinvoltura il distintivo dell'Azione cattolica partecipando anche a certe inziative del partito: "Gi sò vò ! Quenti giac aviv ?"
Le cose le mandava a dire solo a mia madre nel senso che quando doveva riferirle su qualche cosa riguardante la Chiesa - mia madre aveva la chiave dopo la morte di Don Sisto e la partenza della Desolina - aveva la delicatezza di servirsi di "Iuffa" come intermediario, mandandogli dei bigliettini che sui si incaricava di venirci a leggere arrancando, con i suoi scarponi con le bullette e il suo male ai calli.
Iuffa glie era molto affezzionato e lo stimava moltissimo. per lui Don Eugenio non era solo un bravo parroco, ma sicuramente doveva essere qualcuno di importante della Curia Bolognese, che nascondeva il suo rango per umiltà.
"L'è d'eser quel" diceva a mio padre. Mentendo lo assecondava riferendogli di aver visto Don Eugenio a Bologna con i calzettini rossi.
"A t'al geva me c'l'è quel !".
Iuffa, come Don Sisto era una delle vittime di Don Eugenio quando ci abbandonavamo ai ricordi. E così per tre volte mi sono sentito raccontare l'episodio di quel prete che era a Scascoli prima di lui, che aveva una "benzion Putenta" ma per darla doveva pestare i piedi a qualcuno che poi era sempre Iuffa con i suoi calli. O quell'altra volta quando, dovendo trascrivere una preghiera a San Giuseppe che solo Iuffa sapeva, se la fece dettare: "Oh pietoso San Giuseppe, nel tranvaglio...!".
Calzetti rossi o no, Don Eugenio fu per l'Anconella il primo segno di ripresa nel dopo guerra.

Organizzava anche delle recite teatrali dove una volta ho recitato con un vestito di carta. Venivano anche dalla Guarda o da Barbarolo per vedere la commedia "La maestrina".
Sebbene parroco a mezzo servizio, perchè non ha mai lasciato Scascoli, credo che quello che ha potuto fare all'Anconella, gli sia restato nel cuore poichè, essendoci un paesino, era li che aveva il vero senso della parrocchia.
Comunque la strada tra Scascoli e l'Anconella l'ha consumata lui.
Andavano a prenderlo a turno con la motocicletta, mio padre e il signor Cesarino, con qualunque tempo,mantenendo con difficoltà l'equilibrio sulla neve, specialmente giù dalla Valle.
Don Eugenio poteva anche essere onsiderato, a buon diritto, un paracarro della nazionale.
Fasciato nella sua capparella nera, al bivio della Guarda o a San Rufillo, non mancava mai di trovare qualcuno che gli desse un passaggio senza che mai gli sia passata per la mente l'idea di guidare un mezzo qualsiasi.
E nonostante il suo solitario confino a Scascoli, non c'era una cassapanca, un organo che si vendesse senza che lui lo sapesse. La passione per l'antiquariato me l'ha trasmessa lui, quando più grandicello, ho avuto l'avventura di accompagnarlo a cercare organi in alcune ville della bassa.
Partito da Bologna, il nostro legame si è trasformato assumendo sempre più la tipica connotazione di una figliolanza spirituale, con frequenti telefonate per vedere se avevo fatto progressi in questo o in quel punto e se ancora covavo il desiderio di diventare diacono.
Era la sua speranza ed anche, direi, il suo orgoglio. Non era più il mio parroco ma continuava ad esserlo e la sua telefonata mi raggiungeva dappertutto per ricordarmi date ormai dimenticate che nella sua sensibilità diventavano punti di riferimento incancellabili, o episodi vissuti insieme o per ricordarmi che mi aspettava a Scascoli per dire una messa alla mamma.
Lui è stato sempre presente nei momenti più significativi della mia vita. Mi è venuto a sposare a Caserta, ricordando poi negli anni successivi i languori di un violino stonato che cercava di suonare l'Ave Maria, ed è venuto a battezzare le mie bambine a Napoli. Venne anche al funerale della mamma, a Monghidoro, facendo un'omelia che commosse tutti perchè era lui stesso tra i più addolorati per la sua prematura scomparsa.
Il suo apostolato era questo. Un apostalato itinerante, che gli faceva seguire i parrocchiani nelle loro vicissitudini nel mondo con i richiami, esortazioni, preghere e soprattutto quel buon umore di fondo di chi ha l'animo in pace.
Credo che la fedeltà alle sue parrocchie di montagna sia dipesa molto dall'aver scoperto questo sistema di apostolato nuovo ed antico insieme, che trova le sue origini nell'amore naturale del genitore per i figli, che Don Eugenio non aveva legalmente, ma che aveva adottato spiritualmente.
La lontananza forse mi aiuta nel dirlo ma per me Don Eugenio è ancora lassù a Scascoli con le sue raccomandazioni e le sue storie su Don Sisto.
Ha solo messo il solito cartellino sulla porta: "Torno subito".

G. Carlo  Naldi
Colonnello dell'A.M - Roma

 

"Va mo là, Spillino..."

"Và mo là, Spillino, fà mo bene ! Ti aspetto sai !".
E così, se non era la Madonna da "tirar giù" era il crocefisso da lucidare o l'orologio che si era fermato...che soddisfazione se suonavano insieme quello del campanile e quello della cucina !.
Poi tra lo squaquerone di Loiano, un pò di verdura e la mela cotta...si cenava in semplicità e dopo aver chiuso le galline e salutato il Signore si andava a dormire.
Negli ultimi anni Don Eugenio era stato poco bene e così, quando la Maria non poteva proprio fermarsi in canonica e lui non si sentiva sicuro, capitava che spesso ci andassimo, tra gli altri, anche io e Alessandro e per lui era una festa. Poi si andava a Livergnano o all'Anconella per la Messa o a loiano a confessare le Suore dell'Ospedale...e a pagare le bollette e "già che siamo, perchè non arriviamo a..."; non aveva la macchina Don Eugenio, ma sapeva come arrivare dove voleva, tra un passaggio, l'autostop e quanti chilometri a piedi in vita sua !.
La cura e la premura che aveva per le anime era la stessa con cui curava la Chiesa, l'Altare e le Liturgie: "leggi adagio e bene...guarda che è storta quella tovaglia..piano con le candele che me l'hanno già rotto un'altra volta quel candeliere, vedi che c'è una saldatura, basta tenerci una mano sotto prima di spingere, se no per cosa ce le ha date a fare due mani nostro Signore ? ...".
E si capiva, erani per Lui tutte quelle premure, per il Signore, lo si percepiva nei suoi gesti e nelle sue parole che ti aiutavano a sentirlo veramente presente.
E in chiesa la sera, di fronte al Tabernacolo acceso, davvero sentivi scenedere nel cuore una pace immensa e nel silenzio ti sentivi colmato da questa presenza; davvero il Signore ha benedetto quell'angolo di montagna con una presenza, mi verrebbe voglia di dire, particolare, quasi a compiacimento per l'amore con cui Don Eugenio quelle Chiese e quel gregge a lui affidato custodiva, o forse solo per predilezione.
Di fronte al corpo senza vita di Don Eugenio ho sentito come fosse impossibile, impensabile, che quello Spirito che l'animava fosse sparito, da qualche parte doveva pur essere e allora dove se non col Signore che glielo aveva dato, e in quel corpo, perchè compisse l'opera che gli aveva affidato a favore di tutti noi ?.
Don Eugenio, con l'acuta mancanza di lui che mi fa provare, mi sta forse aiutando, costringendomi a sentirmi vicino a lui là dove egli è: vicino al Signore !.

Lorenzo Manaresi

 

Una parrocchiana dell'Anconella

Non potrò mai dimenticare la nobile figura di Don Eugenio, per la Sua bontà, lo zelo costante che per tanti anni ha guidato la nostra parrocchia, quante cose buone ci ha insegnato !
In particolare modo ricordo, e le sono ancora grato, l'assidua assitenza, spirituale nella lunga malattia (8 anni) della mia mamma, 2 volte la settimana le portava la santa Comunione, lunghi colloqui, ha saputo alleviare le sue sofferenze ed era sempre serena.
Un giorno uscendo dalla sua camera mi disse: " Non sapete la grazia che vi fà il Signore, avere in casa un ammalato così rassegnato".
Non lo conoscevo, lo conobbi in seguito, il Signore ricompensi di tanto bene che ha fatto, in altrettanto, pace felicità che solo lui può dare.
Era di una cultura, non comune, nello stesso tempo era semplice e allegro.
Si faceva bambino, pur di tenersi i giovani, e dava loro buoni consigli.
Mio marito ogni domenica andava a prenderlo e lo riportava a casa, ed era felice di farlo, diceva: " lo merita; è tanto buono e fa tanto bene alla nostra parrocchia".
Oltre ai suoi buoni insegnamenti le siamo grati anche per tutti i lavori che ha fatto nella chiesa, aveva pensato a tutto.
Nell'ultimo anno della sua vita, benchè ammalato, ha fatto il restauro esterno del campanile.
Grazie, grazie di tutto Don Eugenio.
Teresa Gamberini
Anconella 10-4-1988
 

L'ultimo viaggio del Curato di Scascoli

Al numeroso coro di persone autorevoli che hanno levato, o leveranno la loro voce per ricorda la figura di Don Eugenio Andreoli, così ricco di umanità, voglio unirmi timidamente anch'io per portare la mia piccola testimonianza, che vuole essere espressione e voce della gente umile e povera per la quale DonEugenio ha sempre avuto una attenzione particolare. Pur ritenendomi il più piccolo dei suoi amici ho avuto il privilegio di essergli stato vicino in questi ultimi quindici anni e di ascoltare spesso le sue confessioni.
Quando, nel tardo pomeriggio della domenica 24 maggio 1987, la salma di Don Eugenio partì dall'Ospedale Civile di Loiano per essere trasportata alla Chiesa Parrocchiale di Scascoli, dove, il giorno dopo, si sarebbero svolte le solenni esequie, nel numeroso corteo di macchine che l'accompagnavano, c'ero anch'io, alla guida della mia FIAT 126.
Durante il lungo percorso che attraversò il centro di Loiano, Sabbioni, Anconella, La Guarda, oltre al dolore che mi saliva dal cuore per aver perso in Don Eugenio un confidente e un amico, mi si presentava alla mente una quantità di ricordi che mi inducevano a fare considerazioni e a pormi interrogativi.Chissà quante volte, mi dicevo, DonEugenio avrà fatto, da vivo a piedi, quel viaggio da Loiano a Scascoli che ora faceva per l'ultima volta, non più solo, con la mano alzata, per mendicare un passaggio alla prima macchina in arrivo, ma accompagnato da una marea di gente che si stingeva intorno alla sua bara per dirgli tutto il suo affetto e tutta la sua riconoscenza.
Quel lento incedere verso la Chiesa di Scascoli, dove Don Eugenio avrebbe finalmente la consolazione di veder raccolti intorno a sè e intorno all'altare tutti i parrocchiani e tutti gli amici, mi richiamava, pure, alla mente il suo incessante pellegrinare da una parrocchia all'altra per assicirare il servizio religioso alle diverse comunità che la fiducia del vescovo gli aveva affidato.
Tutti sanno che Don Eugenio non era motorizzato cadendo da una motoretta quando era ancora giovane, aveva preso un tale spavento da indurlo all'idea di prendersi la macchina e la patente di guida. Perciò quando aveva bisogno di muoversi, doveva viaggare a piedi, con l'ansia di non poter arrivare in tempo, a meno che non avesse trovato qualche imbarco di fortuna.
Mi veniva spontaneo definirlo: un prete sempre in cammino sulle strade del mondo a mendicare un passaggio per non mancare, od arrivare in ritardo, agli appuntamenti con il suo Dio e colle anime affidate alle sue cure pastorali
Mentre il corte di auto procedeva mi veniva spontaneo domandarmi: perchè mai tante macchine e tanta gente per accompagnare un prete in un'epoca in cui il sacerdote è guardato con indifferenza a abbandono alla solitudine ?.
La risposta più convincente che mi si affacciava alla mente era questa: DonEugenio pur essendo un prete uguale agli altri, aveva in sè qualcosa che lo distingueva dagli altri. Ciò che rendeva Don Eugenio simpatico alla gente era il suo schietto umorismo e il suo gioioso attaccamento alla vita.
Aveva, come i ragazzi, il dono d saper vedere nelle persone e nelle cose il lato buffo, per cui il suo incontro con gli altri e il suo conversare erano sempre scanditi dalle sue uscite spiritose che generavano ilarità e simpatia, abbattanedo così gli eventuali steccati che si frapponessero tra lui e i suoi interlocutori.
Il fatto che Don Eugenio fosse sempre allegro e amante dello scherzo, lo doveva alla sua non comune intelligenza e alla sua perspicace intelligenza che gli avevano fatto capire che la vita è un dono inestimabile, per cui va sempre vissuta con gioia, quasi ad esprimere la nostra riconoscenza verso Colui che ce l'ha data.
Chi, come me, è stato vicino a Don Eugenio in questi ultimi anni, sa quanto egli fosse attaccato alla vita e quanto gli sia costato rassegnarsi al pensiero di dover lasciare questa terra, perchè questo signidicava distaccarsi dalle tante persone che egli sinceramente amava e alle quali aveva dedicato 45 anni di ministero sacerdotale.
Quando si accorse che le sue forze, col passar dei giorni, andavano diminuendo, avrebbe voluto che parrocchiani ed amici gli fossero sempre vicini, sopratutto quande celebrava l'Eucarestia, perchè con la loro presenza davanti all'altare, gli dessero la prova che il suo lavoro di sacerdote non era stato vano.
Qualora, in occasioni di celebrazioni, che egli organizzava spesso per dare ai suoi fedeli la possibilità di confessarsi s'accorgeva che pa partecipazione del popolo era scarsa, andava soggetto a crisi di sconforto fino al punto di mettersi a girdare, una volta rientrati in sagrestia: in tanti anni di ministero non ho concluso assolutamente nulla !.
Io, poi,lo consolavo dicendo di aver trovato a Scascoli anime veramente buone, ricche di fede e di virtù, e che, comunque i frutti di un apostolato non si misurano dal grado di partecipazione della gente a qualche ufficiatura dei giorni feriali quando i più sono al lavoro, ma dalle convinzioni e dalle certezze di fede che il pastore d'anime è riuscito a trasmettere ai suoi fedeli.
In una zona di scarsa popolazione come Scascoli, specie dopo l'esodo di questi ultimi anni verso la città, Don Eugenio aveva fatto della sua canonica una casa aperta a tutti, dove molto spesso eccheggiavano vodi di parrocchiani ed amici. Perfino comitive di giovani andavano a passare delle serata da lui per divertirsi ad ascoltare le sue allegre barzellette, ma anche per godere della sua amabile conversazione ed ascoltare i suoi saggi ammonimenti.
La fama della sua disponibilità ad accogliere chiunque avesse bussato alla sua porta era giunta fino al paese di Vado, tanto è vero che un giorno, mentre ormai si avvicinava il passaggio del fronte, Don Eugenio si vide arrivare un sacerdote dallo sguardo allucinato e in preda al terrore, il quale buttandogli le braccia al collo gridò: "Don Eugenio, sono nelle tue mani ! E' successo una cosa terribile !... i bombardamenti hanno raso al suolo la mia Parrocchia !".
Era don Eolo Cattani, parroco di Vado, che sopraffatto dalla paura e dallo sconforto per aver visto crollare sotto la furia dei bombardamenti la chiesa e tutte le case del paese, era fuggito fino a Scascoli per chiedere ospitalità.
Va dato atto a Don Eugenio di aver saputo intrecciare rapporti di amicizia, non solo coi laici, ma anche con tanti sacerdoti che onorava accogliendoli festosamente in casa e accordando loro piena fiducia. Questo l'ho sperimentato personalmente anch'io, perchè nonostante tutti i miei limiti, mi affidava, di preferenza, il ministero delle confessioni. Tutte le volte che indiceva delle celebrazioni mi invitava anche se non avessi potuto dire messa; gli bastava che io fossi presente per attendere alle confessioni.
Forse aveva notato che i fedeli si orientavano volentieri verso il mio confessionale e questo lo rendeva oltremodo felice, accrescendo il numero di coloro che si accostavano alla confessione, avrebbe accresciuto anche i commensali alla mensa del Signore.
Era questo il traguardo a cui Don Eugenio desiderava ardentemente portare i suoi fedeli.
Mi ha sempre sorpreso il fatto che Don Eugenio, pur così intelligente e da tutti stimato, mi degnasse di tanto rispetto e di tanta attenzione al punto di far nascere in me il presentimento di essere uno dei suoi prediletti. Ma forse mi sbagliavo a pensarla in questo modo, perchè chi sa amare in modo autentico, come sapeva fare Don Eugenio. non può lasciare, in tutti coloro che incontra, l'impressione di essere amati con amore di predilezione.
Pur ammettendo che le cose stessero veramente così, non sfuggico, tuttavia, alle tentazioni di domandarmi se esistessero altre motivazioni che giustificassero una tale benevolenza nei miei confronti, e trovavo che Don Eugenio, venendo a Scascoli come parroco succedeva a Don Agelo Galli che era mio cugino in secondo grado, in quanto sua madre, Rossetti Filomena, era sorella di mio nonno.
A motivo di questa mia parentela, io ero andato diverse volte a Scascoli per far visita a Don Angelo, specie quando fù colpito dal brutto male che lo portò akka tomba il 22 luglio 1942, dopo aver esercitato il ministero sacerdotale per 43 ammi in quella parrocchia.
Don Eugenio riservava anche a me un pò di quella simpatia che giustamente nutriva per il mio predecessore. Didìfatti don Angelo era un sacerdote noto per per il suo spirito di pietà, per la sua assoluta dirittura morale e per la sua spiccata devozione alla Madonna.
Sotto la sua guida la comunità di Scascoli si distinse per la sua esemplare frequenza alla chiesa e per aver dato alla Diocesi numerose vocazioni sacerdotali e religiose.
Era un prete che predicava il vangelo più colla vita, che colle parole. Ricordo di aver ascoltato una delle sue omelie domenicali: poche frasi pronunciate lentamente che egli faceva scendere come dall'alto su un uditorio sorprendentemente attento e silenzioso.
Ad ogni frase faceva seguire una pausa abbastanza lunga, forse per dare ai suoi ascoltatori la possibilità di assmilare il contenuto di quanto stava dicendo.
Nonostante fosse un uomo di corte parole, la parrocchia lo seguiva in modo lodevole. Don Eugenio, entrando a Scascoli, trovava quindi una situazione religiosa ideale, di cui doveva essere riconoscente la suo antecessore.
Ma i ricordi che mi legano a Don Eugenio non si limitano agli incontri che io ho avuto con lui nel lungo periodo in egli è stato parroco a Scascoli; essi mi portano assai lontano nel tempo, addirittura al 1931, l'anno in cui entrai in Seminario.
Fin dai primi giorni di vita da seminarista ebbi modo di conoscere Don Eugenio Andreoli, non solo perchè la camerata in cui studiava e dormiva coi suoi compagni di terza liceo era posta al piano immediatamente superiore a quello dove alloggiavo io, ma anche perchè aveva avuto l'incarico dai superiori di leggere in refettorio durante il pasto.
Guardando quel chierico alto come una pertica e macilento come un anacoreta, ascoltando la sua voce nasale che ogni tanto ripeteva il nome strano del santo di cui leggeva la vita, mi si impresse così fortemente la sua fisionomia nella mente da non dimenticarla mai più. Il libro che leggeva era la vita del Cottolengo, il santo torinese noto universalmente per aver fondato la Piccola Casa della Divina Provvidenza che accoglie gli esseri umani più niborati nel fisico che la società rifiuta.
A me, fanciullo, sembra impossibile che un santo potesse chimarsi con un nome così strano !
Finito il passaggio del fronte e ritornato a Scascoli, Don Eugenio trovò la sua Chiesa diroccata e alcuni parrocchiani che piangevano sulle sue rovine. Egli li confortò affermando che l'avrebbe ricostruita più grande e più bella.
Si accinse infatti, quasi subito, a questa immane fatica, che prolungandosi nel tempo, gli faceva esclamare, mettendosi le mani nei capelli: "Ma cosa ho fatto mai a imbarcarmi in una impresa così rischiosa !".
Con tanta pazienza e tenacia riuscì a portarla a termine, anche perchè ebbe l'aiuto e incessante collaborazione dei suoi bravi parrocchiani. Ne venne fuori una piccola basilica col soffitto a cassettoni, con i vetri istoriati e un altare che è una autentica opera d'arte e, quel che più sorprende, costruito con bossoli residuati bellici fusi insieme. In questa chiesa Don Eugenio profuse per tutto il suo spiccato gusto artistico e tutta la passione che fin da giovane aveva avuto per l'arte e le cose belle.
A un Monsignore, venuto da Bologna, per rendersi conti dei lavori eseguiti per la costruzione della nuova chiesa e che criticava Don Eugenio per aver costruito una cattedrale nel deserto, data la scarsa popolazione locale, Don Eugenio rispondeva che la sua chiesa doveva essere la casa del medesimo Signore che abita nelle cattedrali cittadine.
I parrocchiani di Scascoli, guardando e frequentando questo tempio avrebbero dovuto scorgervi il segno perenne delle fede in Dio, del loro parroco e la prova concreta del suo amore per loro.
Degli ultimi giorni di Don Eugenio, ricordo di essere stato presente alla sua ultima omelia tenuta nella chiesa di Livergnano in occasione di una concelebrazione di un suffragio.
Mi meravigliò, non poco, che egli, nonostante le sue peggioranti condizioni di salute, avesse voluto sobbarcarsi quella fatica improba e, per di più, non necessaria.
In quegli sforzi che faceva, in quel sudore che gli grondava dal viso si poteva leggere il suo insopprimibile desiderio di continuare a fare il prete.
Poco tempo dopo seppi cheegli era stato ricoverato all'Ospedale di Loiano dove, di ritorno da una ufficiatura a Scascoli, lo trovai in preda alla smania e, a tratti, fuori di sè.
Ciò nonostante, appena lo vidi, balzò a sedere sul letto e, alzando le braccia veros il cielo, mi esprimeva tutta la sua meraviglia e tutta la sua gioia per quella visita.
Mi fermai pochi minuti durante i quali mi chiese da dove venivo, dimentico di essere stato lui a invitarmi per quell'ufficiatura; poi pregammo un pò insieme la Madonna, quindi gli dissi addio, promettendogli che avrei continuato a pregare per lui.
Due giorni dopo spirava...
Il suo funerale, più che la partecipazione a un evento luttuoso, fù per i presenti un incontro gioioso, pur nel comprensibile dolore della sua perdita.
Con quelle esequie non si celebrò la scomparsa di un sacerdote da questa terra, quanto piuttosto il suo ingresso in cielo.
Nonostante il giorno feriale, la gente accorsa fu assai numerosa, numerosissimi poi i sacerdoti che concelebrarono la S. Messa, presieduta dal Vescovo Ausiliare Mons. Zarri, e poi accompagnarolo la salma al piccolo cimitero, posto in cima alla collinetta prospiciente alla facciata della chiesa.
Quella salma, portata a spalla, in mezzo a un'ottantina di sacerdoti e seguita da una folla orante, sembrava la Chiesa della terra che si librava verso l'alto per consegnare alla Chiesa del cielo l'anima benedetta di quel sacerdote, che avendo amato con tanta cordialità tutti quelli che aveva incontrato sul suo cammino, meritava di essere riamato.
Finite le esequie e calata la bara nella fossa scavata nella nuda terra, davanti alla cappella dove riposano i resti mortali del suo predecessore Don Angelo Galli e dei suoi famigliari, mi accinsi, col pianto nel cuore, a lasciare il cimitero.
Scendendo la scalinata mi veniva da pensare che, se noi pellegrini sulla terra eravamo in lutto per aver perduto, in quel compagno di viaggio, un padre, una guida, un amico, la Chiesa del cielo era in festa perchè Don Eugenio veniva ad accrescere il numero degli eletti.
Chissà come sarà stato gioioso l'incontro di quell'umile prete di montagna con Cristo, l'eterno e sommo sacerdote, e con le tante anime da lui salvate e che, immagino, gli saranno andate incontro per dirgli tutta la loro gioia per vederlo di nuovo in mezzo a loro, e anche la loro infinta riconoscenza per averle guidate e sorrette nel cammino della vita fino al porto della salvezza.
Termino queste righe con un messaggio che rivolgo, in nome di Don Eugenio, a tutti coloro che l'hanno amato e conosciuto sulla terra:
"Dal cielo dove egli è salito colla sua anima, Don Eugenio continua ad amarci e ci aspetta in paradiso.
Nessuno manchi all'appello !
La strada la conosciamo: mettere in pratica quello che ci ha sempre insegnato"
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Questo messaggio lo rivolgo a tutti, ma in modo particolarissimo ai parrocchiani di Scascoli, Anconella e Livergnano che furono oggetto delle sue cure pastorali, di un sacerdote così bravo e così buono come don Eugenio.

Don Leopoldo Rossetti
Parroco di Piamaggio

 

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